Avevo un sogno, e posso dire di averlo realizzato. Palazzo Luce è uno spazio che ha il sapore dell’utopia, un luogo nato per essere frequentato e condiviso. Ha radici antiche, essendo nato come residenza dei Conti di Lecce nel XIV secolo, ma oggi si apre al dialogo con il contemporaneo. Architettura, design e arte concepiti come un’opera totale: è un labirinto che sarebbe piaciuto a Borges, ogni volta che ci vieni svela nuovi percorsi possibili. I secoli hanno disegnato un dedalo di passaggi, di volte, di scale e di saloni – un cubo magico che ogni volta mostra una faccia nuova. E il regista è lo sconfinato mare di luce che tutto avvolge e rischiara, un elemento gentile che fluisce, pulsa, accarezza e si modula come una voce, passando in pochi secondi dai toni sussurrati a un canto spianato. Gian Maria Tosatti, un artista amico di Palazzo Luce, ha detto che dobbiamo essere custodi dei luoghi della bellezza. Custode è una parola che mi piace, ha a che fare con il tema della responsabilità. Io sento la responsabilità verso questo luogo e i manufatti di arte e design che contiene. Sono come ospiti, presenze che ci parlano e ci chiamano. I custodi devono sostenerli, ascoltarli, caricarli di senso ulteriore. La definizione più bella di Palazzo Luce non è mia ma di un altro amico artista che ha lavorato con noi, Antonio Marras:
Varcare la soglia
perdersi in un labirinto
seguendo i percorsi
dei propri sogni