“Per Palazzo Luce e per questa stanza che accoglie tutta una biblioteca, era quasi imprenscindibile ragionare sulla destinazione degli scaffali che contengono una quantità di parole impossibili da contare. Non ho potuto fare a meno di pensare alla letteratura che è un tema che spesso ritorna nella mia ricerca attraverso la citazione”. Così l’artista Marzia Migliora racconta del suo incontro con Palazzo Luce e, in particolare, con una delle due biblioteche, per la quale ha scelto di realizzare un intervento site specific in cui il visitatore potesse incontrare le parole “a tu per tu”.
Riportate su superfici specchianti, che paiono moltiplicare lo spazio, le frasi – tratte da autori come Sylvia Plath, Marisa Merz, Samuel Beckett o José Saramago – sono scritte con caratteri decrescenti e senza separazione tra una parola e l’altra, simili alle lettere dei test di optometria che stabiliscono la qualità della vista durante una visita oculistica. “Se riusciamo a compiere questo esercizio faticoso di lettura” spiega l’artista “ci accorgiamo che ognuna di queste frasi tratta il tema della paura e della cecità. Due cose che sembrano molto diverse, ma la paura talvolta ci rende impossibile leggere la realtà, ce la fa percepire attraverso un filtro, una lente che deforma.”
Il rapporto tra il buio della cecità e la luce della visione si fa simbolo ancora più importante negli spazi del Palazzo, attraversati da una luminosità potente: l’arte può attraversare l’oscurità, fenderla e rischiararla, come un’arma splendente contro qualunque paura.